Un ventaglio ampio di approcci creativi e progettuali al tema della luce outdoor, a seconda del designer chiamato ad esprimersi
Illuminare uno spazio è mettere in relazione architettura e funzione con le sensazioni di chi lo abita, tracciare i confini di un’emozione. DOT è il primo step di un progetto animato da quella forza propulsiva tipica dei pensieri fuori dagli schemi che, condivisi tra brand e designer, dichiarano il loro potenziale di innovazione. Jan Van Lierde, architetto e lighting designer, pensa ad un apparecchio illuminante che possa esprime la sua visione della luce, considerata in tutte le sue forme come un materiale da costruzione di un’architettura.
Federico Cittadini, CEO dell’azienda, viene catturato dalla potenza dell’idea. Da qui la nascita del progetto. La maturazione temporale del nuovo concept di luce outdoor si è generata da un prototipo a forma di piccola “pastiglietta” stampata in 3D. Da qui lo sviluppo dell’apparecchio di illuminazione: sono proprio le dimensioni ridotte del corpo illuminante a definire il vigore di un prodotto da inserire in mezzo al verde di un giardino o di un terrazzo. Una impercettibile presenza che, per la forma e la finitura discreta, una volta accesa con l’arrivo del buio rimane tale, quasi mimetizzata.
Il punto di origine del fascio luminoso scompare nell’ottica incassata, ma grazie anche al corpo in alluminio e alla tecnologia a LED riesce ad illuminare con forza. Un approccio pragmatico nella gestione dell’apparecchio ha portato ad un supporto a picchetto da inserire direttamente a terra e ad un sistema di cablaggio invisibile plug and play che non richiede interventi di tecnici: la mobilità del punto luce permette quindi di modificare la scenografia luminosa, andando ad enfatizzare una fioritura, un foliage o un dettaglio naturale.
Giuseppe Maurizio Scutellà, bresciano d’adozione, se da un lato gioca in casa per appartenenza territoriale, ha guardato invece molto lontano come ispirazione, all’Oriente ed al classico gioco dello Shanghai, che è il nome scelto per la nuova collezione di lampade: stelo sottile a cui è fissato un corpo illuminante altrettanto leggero, orientabile, da cui fuoriesce un fascio concentrato ideale prolungamento del corpo stesso, ad indicare quasi una direzione per la luce o per il cammino.
Coerenza di idee per un progettista che, rispetto al tema illuminotecnico, pensa che le lampade debbano essere disegnate dalla luce che emettono e dai dettagli più che dalla loro forma; e che la luce, ha un aspetto implicito di cambiamento e mutevolezza che si mantiene nel prodotto finito. Così accade per Shanghai: il fruitore, agendo per esempio sull’inclinazione del diffusore o usandone una serie invece che un solo apparecchio, può elaborare una personale chiave di lettura e di utilizzo.
Le Shanghai, interamente in metallo, in tre altezze differenti, suggeriscono varie interpretazioni estetiche legate all’uso libero e al mix dei vari formati, soluzione quest’ ultima che visivamente ricrea proprio il gioco grafico degli shanghai sovrapposti da liberare, ad inizio partita.