Lorenzo Bruscaglioni, lighting designer e founder Studio Luminae Lighting Design, racconta il concept progettuale per il Padiglione Italia Expo 2020
Intervistato dal co-editor Marco Nozza
Centosettant’anni, ormai, sono trascorsi dalla prima ‘Esposizione Universale’ di Londra. Ospiti e turisti hanno raggiunto lo strabiliante Expo Dubai 2020, inaugurato ufficialmente il primo ottobre 2021, visitabile fino al 31 marzo 2022.
L’estensione dei circa 3000mq del Padiglione Italia è stata notevolmente percorsa e vissuta: nel week end della prima settimana di dicembre, in concomitanza con il 50esimo della fondazione degli Emirati Arabi, si conteggiano cinquantamila visitatori, sei milioni in totale raggiunti a fine ottobre scorso. L’esposizione italiana celebra ‘La Bellezza che unisce le Persone’: una progettazione circolare, riconfigurabile e narrativa che è il risultato del concorso architettonico vinto da alcuni progettisti protagonisti del panorama italiano: CRA – Carlo Ratti Associati e Italo Rota Building Office, con Matteo Gatto & Associati e F&M Ingegneria. La progettazione illuminotecnica degli spazi espositivi del Padiglione Italia è stata concepita da Lorenzo Bruscaglioni dello studio Luminae lighting design.
Nelle installazioni artistiche del Padiglione la luce è stata applicata come un vettore di meraviglie, donando al visitatore “un’esperienza visiva fuori dall’ordinario”. Ci racconti il vostro concept?
Il concept rispecchia la complessità del progetto architettonico, la struttura stessa del padiglione permeabile alla luce naturale che filtra dalla copertura e dalle corde perimetrali ha notevolmente influito sulla strategia illuminotecnica. Nella dialettica mutevole tra sorgenti naturali ed artificiali risiede l’ingrediente magico ed imprevedibile che caratterizza l’illuminazione del padiglione.
Non un’unica luce dunque, ogni spazio richiede una mirata e specifica illuminazione soprattutto in base alla fruizione del visitatore e al contenuto. Secondo questa filosofia, in che modo avete concretamente progettato?
Ogni installazione è stata trattata come un allestimento particolare dove la luce artificiale ha in alcuni casi una valenza di carattere simbolico, come la riproduzione di ombre/foliage sulle pareti, in altri casi è funzionale per far risaltare opere come la riproduzione del David all’interno della Memoria. Esiste poi una componente di luce “biologica” dedicata alle piante che riveste un altro importante aspetto con le installazioni di Tolo green, Eni e gli apparecchi dedicati all’orticoltura. Non ultima la progettazione del Second Sun ci ha impegnati in una sfida dove il nostro background in ambito entertainment ci ha permesso di risolvere diverse problematiche di tipo tecnologico. La progettazione degli allestimenti e del garden design del Padiglione è stata curata dall’agronomo e botanico Flavio Pollano di GMP Studio. La struttura circolare del Belvedere è sezionata da lame d’acqua che evocano il Mediterraneo: avviene qui la coltivazione di micro-alghe (Spirulina) per il trattamento ecologico dell’aria tramite la biofissazione dell’anidride carbonica espirata dai visitatori. La copertura è una cupola ribassata sulla quale sono coltivate una serie di erbe della macchia mediterranea: cappero, timo, felce e rosmarino. Uscendo dal Teatro della Memoria si apprezzano, invece, sezioni e spicchi di orto-giardino contenitivi di piante di specie differenti che adornano lo spazio e perimetralmente si ergono ceramiche di richiamo siciliano.
La progettazione illuminotecnica applicata dalla cupola vegetale del Belvedere fino agli orti-giardini del Teatro della Memoria ha richiesto uno studio ad hoc sulla scelta dell’apparecchiatura. Ce lo racconta?
In fase di progettazione la ricerca si è focalizzata su apparecchi performanti con un parco ottiche in grado di soddisfare sufficienti valori di illuminamento da distanze molto diverse tra loro. Inizialmente la sfida era quella di raggiungere aree verdi a rischio poiché si trovavano in zone più critiche del padiglione dal punto di vista dell’esposizione di luce diurna.
Si parla spesso di prodotto “fuori catalogo”: per illuminare le aree green avete optato per corpi di nuova concezione, riassettati tecnicamente per un compito specifico, è così?
Beh, non è stato facile trovare l’apparecchio giusto perché il mercato dell’illuminazione per l’orticoltura è ovviamente caratterizzato da prodotti che si adattano ad applicazione standard come le serre oppure i classici cluster di scaffali verticali. Noi invece cercavamo un prodotto duttile che potesse essere posizionato in diversi punti del padiglione per seguire la crescita delle piante ed anche un’azienda disponibile a lavorare su una prototipazione custom.
Il lighting designer, come l’architetto, sovente si rapporta con i diversi attori della filiera (in ambito illuminotecnico e per altre discipline) per la realizzazione del progetto. Il supporto di un’azienda che produce corpi illuminanti, è fondamentale. Con quale azienda avete lavorato?
Abbiamo progettato in collaborazione con il reparto tecnico di One 4 all un frame che potesse contenere 4 apparecchi Unik 150W a LED (COB LED Citizen), in modo da poterli orientare individualmente e dotare di ottiche dedicate secondo le necessità. Altro aspetto non secondario è stato la scelta di remotare i driver in modo da convogliarli in un unico punto per facilitare
le operazioni di cablaggio e manutenzione. Ogni telaio può essere poi montato singolarmente o in coppia su stativi dotati di ruote.
La luce è linfa vitale per la vegetazione. La fotosintesi clorofilliana non potrebbe avvenire se non ci fosse una quantità e una direzione conforme di spettro luminoso, nel tempo. Per ottenere una crescita sana e regolare delle piante, all’interno del padiglione, in che modo viene garantita una corretta esposizione alla luce artificiale?
È stato previsto un monitoraggio costante da parte di squadre specializzate in capo all’agronomo che organizza periodicamente gli apparecchi per agevolare la crescita delle piante con il corretto spettro e relativa quantità di PPF. Nella sua complessità, il Padiglione Italia, è di fatto una grande installazione sperimentale che sfuma i confini tra Naturale e Artificiale. Immaginiamolo come una foresta: la sua chioma fa filtrare la luce per dare vita e nel contempo avviene la nascita di neo-materia organica. Un po’ come per l’illuminazione per la coltivazione indoor e idroponica. Nella sua spirale genetica scorre sostenibilità e biofilia, soprattutto per aree del pianeta con un forte impatto ambientale, attenzione verso l’inquinamento luminoso e all’impatto della luce nell’ecosistema. Ma più di tutti, il valore e l’etica di una vita che ha sempre necessità di sapere, appunto agri-cultura, e di sostenere il reciproco rapporto benefico tra uomo e natura.
Photo Credits: Michele Nastasi e Massimo Sestini
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