Alla fine degli anni ’80 conoscevo Ernesto Gismondi di fama. Faceva parte di quel ristretto numero di attori che impersonificava la luce e il design, binomio vincente che ha portato lustro e fama a tante aziende italiane. Quando lo incontrai di persona nei primi anni ’90 nella piccola sala d’aspetto dell’aeroporto di Varsavia, al termine di una fiera, ruppi gli indugi e, una copia di Italian Lighting alla mano, mi presentai. Conobbi così l’uomo Gismondi, gentile e pacato con una curiosità straordinaria e una capacità quasi magnetica di coinvolgere le persone nel suo mondo: il mondo della luce.
In questi giorni tutti i media hanno esaltato il personaggio Gismondi, ricordando premi, collaborazioni, parlando dell’imprenditore e di Artemide, la sua creatura, e di come sia riuscito ad utilizzare il design come processo essenziale della natura intrinseca delle sue lampade.
A me però piace ricordarlo in quel piccolo aeroporto mentre con fervore e passione mi spiegava che: “Le lampade devono avere un’anima anche da spente, per rendere più bella la luce che emanano, una volta accese…”.
Federico Galluzzi